Sulla globalizzazione è stato scritto tanto. Sociologi, giornalisti, scienziati, economisti negli ultimi decenni hanno testimoniato lo sviluppo inarrestabile di questo processo culturale e sociale innescato dalla grande economia mondiale.
La definizione ufficiale (Wikipedia) è: “fenomeno di crescita progressiva delle relazioni e degli scambi a livello mondiale in diversi ambiti, il cui effetto principale è una decisa convergenza economica e culturale tra i Paesi del mondo.”
Dal momento che alla base di una buona comunicazione ci sono elementi in comune, e poiché il commercio è comunicazione altamente redditizia, di fatto l’economia capitalistica ha lavorato soprattutto negli ultimi trent’anni per ridurre le differenze e aumentare le somiglianze tra popoli e individui.
Di per sé avere una lingua unica, una moda unica, un cibo unico, una mentalità unica, un arredamento unico, un sistema di lavoro unico, un mercato unico non rappresenta di per sé un tratto negativo. Pensiamo al Pianeta Verde, il film illuminante (ma anche divertente) di Coline Serreau.
Il grande afflato verso un salto quantico nell’evoluzione delle coscienze, stimolato oggi dall’attesa del fatidico 2012 ma presente con sempre più forza ormai sin dagli anni ’60, non può prescindere dal ritrovarsi a condividere le stesse esperienze e a parlare la stessa lingua.
Il punto critico è che questa base comune cerca di sostituire, non di integrare, le differenze.
Tendenza che oggi istintivamente le persone combattono cercando di recuperare sempre più le tradizioni locali e innescando rapporti basati su comuni interessi di nicchia.
Da una parte accettiamo con entusiasmo la possibilità di parlare gratis con gli stessi strumenti anche a 5.000 Km di distanza, e magari troviamo confortante trovare gli stessi piatti (non solo fast food, ma anche kebab e pizza) in ogni continente…
… Ma dall’altra si cercano sempre più le sagre paesane, i mobili antichi e le associazioni culturali in cui sviluppare le proprie passioni di nicchia, dallo sport ai viaggi alternativi, dall’artigianato ai giochi di società.
Una spinta positiva usata, come spesso capita, in modo negativo. Anche perché questa convergenza sta riportando di fatto in auge il problema del monopolio…
Se finanziariamente è comprensibile che le banche, le aziende farmaceutiche, la società alimentari, i gruppi di telecomunicazioni e tutte le grandi società multinazionali trovino conveniente unirsi per gestire in modo più efficace un mercato di 6 miliardi di persone, non dobbiamo mai dimenticare che questa “alleanza” mina alla radice la nostra libertà.
Perchè il mercato globale mira ad aumentare i fatturati. Punto. Spesso senza tener conto delle reali esigenze del consumatore, autorealizzazione, salute, equilibrio emotivo che sia…
L’uomo ha bisogno dei suoi spazi, non dimentichiamoci che nasciamo dalla savana… e quando penso agli spazi naturali non posso fare a meno di pensare agli effetti negativi di questo sfruttamento tecnologico sull’ambiente che rappresenta un’altra delle immense ombre dell’industria globale.
In un modo molto più sottile e invisibile di quello usato dalle dittature del secolo scorso, orientando i nostri sogni ed i nostri desideri verso obiettivi installati dall’esterno, verso soluzioni che il nostro vero Io non ha mai realmente desiderato…
Questa se vogliamo è l’essenza del marketing. O almeno di un certo tipo di marketing…
Un’industria che tratta la salute come un qualsiasi altro prodotto, tanto che più di qualcuno sospetta che le malattie vengano create insieme ai vaccini… chimica inutile inoculata prima tramite i mass media e poi direttamente alle persone, per un business che non può registrare perdite…
Un mercato di individui ormai drogati dai desideri altrui.
Esemplificativo è stato il recente fenomeno del digitale terrestre. Con il panico di aggiornamento che ha scatenato, ha dimostrato tristemente che la maggior parte delle persone è persa senza Tv, grande fagocitatrice del nostro tempo e strumento pricipe di “rieducazione” mentale…
Come fare per non perdersi?
Personalmente vedo solo un’unica strada: continuare a porsi domande, ad ascoltare storie diverse, ad approfondire la conoscenza di noi stessi e del mondo che ci circonda, superando le favole che escono dai mass media tradizionali.
La ricetta quindi resta una buona base di crescita personale, una bella spruzzata di curiosità vera ed un costante reimpasto di formazione…
Privilegiando semmai ciò che porta fuori dalle rotte abituali.
Corsi, libri, chiaccherate con persone che ti comunicano valore e seminari on line. Almeno finché il web continuerà ad essere libero e a rappresentare – come è stato scritto – il vero sistema nervoso dell’umanità.
E non a caso questo è il nostro focus, la nostra mission, il nostro supremo obiettivo: Autodifesa Alimentare, i Wellness Angels, il Wellness Coaching Club, le interviste alternative, gli ebook a marchio I Feel Good…
E nonostante come sai non ci occupiamo di in via prioritaria di business, chissà che prima o poi non si riesca a mettere sul tavolo una valida alternativa al modo dominante e limitante in cui le grosse aziende gestiscono i loro affari… sono certo che ne verrebbero fuori delle belle… tu nel dubbio, resta con noi!
Siamo dei sognatori, è vero, ma da qualche parte bisogna pur cominciare… 😀
Leonardo Di Paola
Wellness Coach & Trainer
www.ifeelgood.it
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Leda says
Analisi lucida e centrata a 360° o meglio “globale” per usare l’aggettivo che ti ha dato l’incipit per la dissertazione che approvo e condivido in ogni sua parte.
Apprezzo più di ogni altra cosa la via d’uscita che hai indicato, l’unica (se non vogliamo metterci alla fermata della prima navicella spaziale che passi dalle nostre parti 🙂 )che ci possa lasciare un barlume di speranza in questa società del profitto .
Complimenti Leonardo….resterò a lungo a sognare con voi 🙂