Il senso nasce dalla diversità.
Senza diversità non esisterebbe alcun senso.
Noi cominciamo a dare un senso al mondo appena percepiamo il nostro organismo come separato da quello della mamma (non è forse a caso che il termine “senso” indichi sia il sostantivo “significato” che lo strumento della nostra percezione fisica… cioè che sentiamo come esterno a noi assume subito un senso).
Se coincidessimo con il mondo in un luogo senza tempo né dimensioni non sperimenteremmo nulla e non avremmo bisogno di percepire/dare significato alle cose.
Neale Walsch ha descritto in modo mirabile perché Dio ha creato il mondo e la realtà dando vita al concetto di relatività:
Nel creare quello che è «qui» e quello che è «là» Dio rese possibile a Dio di conoscere se stesso. Nel momento di quella grande esplosione dall’interno, Dio creò la relatività, il più grande dono che Dio abbia mai fatto a se stesso.
Perciò la relazione costituisce il più grande dono che Dio vi abbia fatto. Dal Nulla quindi si sprigionò il Tutto, un evento spirituale totalmente coerente, a proposito, con quanto i vostri scienziati chiamano la teoria del Big Bang.
Mentre gli elementi del tutto si precipitavano a farsi avanti, veniva creato il tempo, poiché una cosa prima era qui e poi era là, e il periodo che ci voleva per portarsi da qui a là era misurabile.
Quindi più percepiamo differenze nel mondo relativo più creiamo senso (altrettanto relativo), cioè leghiamo diversi pezzi di esperienza in una relazione (causale, temporale, spaziale, estetica, etica, ontologica, etc.)
E quindi a mano a mano che cresciamo, sia da bimbi che da adulti, accogliamo in noi sempre più espressioni linguistiche di significato. Ricordi i mattoncini della Lego?
Ogni espressione linguistica che memorizziamo e a cui diamo fiducia è un mattoncino che usiamo per costruire la nostra identità. […]
Nella gestione di queste affermazioni [ndr: termine usato nel Corso come sinonimo di convinzioni, mappe, credenze, cornici], esistono alcune necessità di base.
La nostra prima necessità mentale è il dover dare sempre un senso agli eventi.
Ogni evento, reale o mentale, per noi deve avere un significato, deve essere collegato ad altre cose che abbiamo sperimentato o conosciuto. Questa spinta è tanto forte che se l’evento non ha già un senso preciso gliene diamo uno noi, magari inventandolo per analogia.
Si potrebbe chiamare istanza semantica.
La seconda è verificare che le diverse istanze semantiche, soprattutto quelle cui diamo maggior fiducia e valore (quindi ancora le affermazioni operative), siano coerenti tra loro e non ci siano contrasti concettuali.
Potremmo definirla istanza sistemica.
Se qualcosa non è coerente (e non riusciamo ad integrarla nel in qualche modo nel sistema), di solito o lo rifiutiamo oppure lo nascondiamo nella memoria inconscia.
Quindi più l’affermazione operativa è coerente con la nostra identità, più è facile che affiori in superficie nella nostra coscienza. Al contrario, più l’affermazione è incoerente, più cercheremo di nasconderla sotto il tappeto della menta inconscia.
E’ da questa seconda ipotesi che di frequente nascono e prendono vigore le emozioni mentali negative e gli autosabotaggi.
Questa duplice esigenza, il dover mantenere sempre una coerenza interna tra i significati che dobbiamo dare al mondo costruendo e stratificando affermazioni operative, ricorda quella che il sociologo Leo Festinger ha chiamato necessità di sfuggire alla “dissonanza cognitiva”.
Tanto per fare un esempio, se credo che “uccidere sia male” e che “mangiare carne fa bene”, non potrò accettare senza compromessi il fatto che per mangiare qualcuno debba uccidere animali per me.
Per superare l’incoerenza dovrò cambiare la mia prima convinzione operativa generica da “uccidere è male” in una più specifica tipo “uccidere esseri umani è male”. Oppure condizionarla tipo “uccidere è male, ma per mangiare è legittimo perché naturale”.
Ricordiamoci tuttavia di una cosa fondamentale.
Diversi studi hanno dimostrato che quando una persona sente una dissonanza tende a cambiare opinione (dunque affermazioni operative), non a cambiare necessariamente comportamento!
Ecco perché non basta capire le cose razionalmente per cambiare modo di agire.
L’elemento chiave che trasforma una nuova opinione in un nuovo comportamento passa attraverso la dimensione sociale.
Se il cambiamento di un’affermazione operativa per rinforzare la nostra coerenza interna richiede anche un cambiamento di comportamento, chi entra in dissonanza e cambia idea su qualcosa cercherà di solito:
· un professionista in grado di aiutarlo (es. un Coach o un Consulente)
· un gruppo di persone che condividono i suoi obiettivi (es. un gruppo di lavoro o un’Alleanza di cervelli)…
[Estratto da “Software, Volontà e Affermazioni Operativa“, Ebook n.3 del Corso da Wellness Coach Professionista del Weco Club, il Wellness Coaching Club di I Feel Good – www.wecoclub.it]
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