Il nostro rapporto con il cibo dipende da tanti fattori, cultura alimentare, disponibilità o attenzione familiare, metodi di cottura, gusti personali… semplici o ricercati, scappatoie e/o guadagni secondari, sensi di colpa…
Riflettevo che anche le sensazioni legate alle festività hanno la loro importanza…
Che tipo di sentimenti ed emozioni provi quando pensi al pranzo di Pasqua, la cena di Natale, il cenone di Capodanno, il pranzo di Ferragosto?
Cosa prevale nella tua memoria?
Aspettative disattese o ricordi gioiosi? Antiche costrizioni o momenti affettuosi?
Conosco persone che si illuminano all’idea della festa, visualizzano la gioia dell’intimità familiare e sentono già l’acquolina in bocca pregustando chissà quanti manicaretti…. Persone che hanno indissolubilmente legato l’atto del preparare, cucinare, servire in tavola e mangiare, alla famiglia – come se in famiglia si potesse fare solo questo – e fanno di ogni occasione (compleanno, onomastico, nuovo lavoro, macchina nuova etc…) un pretesto per festeggiare, mangiando, a suon di spumante e pasticcini…
Ma non perchè siano necessariamente golosi (sì certo, alla fine lo sono diventati gioco forza) ma perchè hanno strettamente collegato la convivialità alla gioia, e si sentono amati e apprezzati in questo ambito.
Cosa c’è di più antico del dono del cibo?
Sì, siamo d’accordo… Ma perchè ogni volta che si va a trovare i parenti ti devono per forza offrire qualcosa da bere o da mangiare… E non smettono di tormentarti finchè non hai trovato qualcosa che vada bene?
E se non accetti niente ti dicono che stai dimagrendo (a prescindere dalla tua effettiva stazza), che sei sciupato, che forse è meglio fare un po’ di analisi…?
E così devi cedere affinchè loro, paghi di averti infilato quell’assurda gelatina in bocca alle 3 del pomeriggio, un momento in cui sei ancora beatamente in digestione e non sentivi assolutamente il bisogno di nulla, possono continuare a parlare del più o del meno….
Ma questa è un’altra questione.
Torniamo alle feste comandate o inventate…
Molte altre persone si sentono invece a disagio al pensiero di organizzare e/o subire enormi tavolate familiari-amicali.
Magari, da piccoli, ricordano le feste come momenti di tensione che questi eventi di convivialità forzata generavano, il dover fare “bella figura” con gli amici, le persone indesiderate che bisognava invitare, quella falsa atmosfera che celava disappunto e sopiti rancori… Tutto questo, ancora una volta finisce per riflettersi sull’idea del cibo intridendolo di emozioni “altre” che poco dovrebbero entrare nel discorso.
Ci sono persone che magari hanno vissuto dei traumi proprio il giorno di Ferragosto e hanno collegato il senso di angoscia a quella festa come ad altre…
Che dire? Cos’è peggio?
In termini di linea e salute, la prima situazione è spesso un disastro. Un gesto di amore si trasforma a lungo andare in cannibalismo, autodistruzione e futura obesità, diabete, ictus…
In termini emozionali la seconda situazione non è certo sana, perchè più volte all’anno ci si predispone impotenti all’angoscia…
Come cercare di migliorare questa empasse?
Lo dico spesso, io sono per festeggiare il “non compleanno” del Cappellaio Matto e cerco sempre di evitare le feste ufficiali (spesso solo pretestuose imposizioni pubblicitarie) che riempiono le strade di traffico e i luoghi di gente chiassosa, insoddisfatta, mal servita…
Ma al di là di questo, che soluzioni ci possono essere?
Festeggiare introducendo piano piano altri elementi che non siano legati al cibo (uno spettacolo, una gita al mare o in montagna, una gara sportiva, un lavoro da fare tutti insieme) nel primo caso, e organizzare delle piccole cene – possibilmente al di fuori delle feste comandate per non riviverne neanche ancestralmente il mal umore – con degli amici scelti per ritrovare il gusto della convivialità nell’altro caso.
Concentriamoci quando mangiamo, sul cibo e solo su quello, sul momento presente il più possibile scevro da altre tensioni.
Riprendiamoci la NOSTRA vita.
Ricominiciamo a vivere il qui e ora e che il Ferragosto incombente o qualsiasi altra festa non sia più un problema ma un’altra opportunità di crescita, consapevolezza e gratitudine.
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Quanta verità in quello che dici, Viviana.
Alla luce dei sani insegnamenti che abbiamo ricevuto dai vostri corsi riguardo al benessere, non possiamo che essere d’accordo con te quando affermi che la vita va vissuta, nel miglior modo possibile, “qui e ora”.
Facciamo chiarezza nei nostri obiettivi, ripuliamo dai cespugli infestanti il giardino delle nostre convinzioni in tema di alimentazione e wellness, adottiamo una precisa e disciplinata condotta nel mantenere le nostre quotidiane conquiste di una sempre migliore qualità della vita, ed essa ci sorriderà restituendoci tanta pace e tanta serenità in uno con una salute a prova di improvvise e debilitanti aggressioni patologiche. Facciamo prevenzione alimentare, ben sapendo che è solo questa la giusta strada da percorrere nella direzione del benessere, non ce n’è altra se non ad essa complementare.
Qualcuno un giorno mi disse che gli era difficile accettare l’idea di un’alimentazione distaccata dalla socialità, dalla condivisione dei “piaceri della tavola”, e io mi devo confessare d’accordo con lui in questo, naturalmente se ci si mette prima d’accordo su cosa deve intendersi per “piaceri della tavola”. La convivialità non può e non deve essere il fine ultimo e supremo delle nostre vite, ne può certamente essere un aspetto importante, ma non il solo. Ridimensioniamo perciò anche l’idea che, dopo anni e anni di disinformazione indotta, ci siamo procurata al riguardo, assumiamo le giuste dritte da fonti veramente informate e vedremo come, con piena coscienza, tutto sarà più semplice.
E poi godiamoci la vita, riempiendola di sensazioni positive, grandi emozioni, tanto amore, fratellanza e solidarietà verso coloro meno fortunati di noi, riappropriandoci dei buoni sapori naturali ormai dimenticati dai più, gioendo delle bellezze del creato ovunque tu stia, godendo dei suoni dei rumori dei fruscii dello sciabordare delle onde delle folate calde d’agosto del vento gelido dei mesi invernali del calore di un fuoco scoppiettante nel caminetto, dei profumi dei fiori in un prato primaverile, dell’odore del fieno appena tagliato, delle sonorità delle voci femminili della spensieratezza nelle grida dai giochi dei bambini del ricordo dei nostri genitori quando ci nutrivano con le loro pillole di saggezza per la vita.
Riempiamo le nostre giornate con tutto ciò e diamo valore alla nostra esistenza. Michele.
Quanta saggezza c’è sempre nei tuoi interventi caro amico mio! 🙂
Ti ringrazio moltissimo per aver arricchito questo articolo con la tua opinione.
Sono completamente d’accordo con te: “Cosa sono i “piaceri della tavola”?”
Non dovrebbe essere una celebrazione della vita, del nutrimento primordiale, un dono fatto con amore e al momento giusto?
Perché così spesso è invece una manifestazione di forza, di potere, di successo, di bravura, di educazione (o maleducazione, dipende dai casi 😉 )…
E sopratutto perché dobbiamo avere come ospiti (ed imporre ai convitati) a tavola la malattia, il sovrappeso, l’obesità, le malattie di cuore, il diabete?
E… e qui rischiamo l’impopolarità caro Michele… Perché dobbiamo obbligare gli altri – e lo dico perché si avvicina la “Santa Pasqua” – ad uccidere cuccioli innocenti per sfamarsi?
Io non desidero pasteggiare a capretti o agnellini da latte. Nè condividere la tavola con chi lo fa in un giorno che dovrebbe essere “Santo”. Questi non sono “piaceri della tavola”, per me è un sopruso ed una sofferenza. Preferisco andare al mare e festeggiare in spiaggia con una bella insalata di riso vegetale senza dover essere additata come quella “anticonformista” che non crede alle tradizioni!
Un bacio grande e alla prossima! 🙂