“Il vero viaggio di scoperta non è vedere nuovi mondi ma cambiare occhi”
Marcel Proust
Ieri, in un’arena romana insolitamente gremita, Viviana ed io abbiamo avuto il piacere di assistere alla prima cittadina di Antropocene – L’Epoca umana, film canadese codiretto da Jennifer Baichwal, Nicholas de Pencier ed Edward Burtynsky.
Dico insolitamente gremita perché di solito, almeno fino a pochissimo tempo fa, le pellicole che parlano di ambiente non attiravano grandi numeri, soprattutto in Italia.
E invece, nella splendida cornice dell’Isola Tiberina (Patrimonio dell’Unesco), erano in molti i romani ad aver disertato una banale serata di frivolezze per godersi questa primizia estiva che accarezza l’occhio e risveglia il cervello.
Antropocene – L’Epoca umana.
L’opera, frutto di un viaggio di ricerca planetario durato ben quattro anni, abbraccia la teoria divulgata dal premio Nobel Paul Crutzen per cui saremmo usciti dall’Olocene, era iniziata circa 12.000 anni fa, per entrare in una nuova epoca geologica, l’Antropocene, appunto.
Ecco il trailer:
Al di là del mancato accordo sulla presunta data di inizio di questa nuova era (che oscilla tra la fine del XVIII secolo alla metà del XIX secolo), l’idea forte è che oggi sia l’uomo – più degli elementi naturali come la deriva dei continenti o le glaciazioni – l’elemento che sta modificando (per usare un eufemismo) massicciamente l’ambiente terrestre.
In questo periodo l’impatto dell’uomo sugli ecosistemi si è progressivamente incrementato, veicolato anche da un aumento di 10 volte della popolazione mondiale, traducendosi in alterazioni sostanziali degli equilibri naturali (scomparsa delle foreste tropicali e riduzione della biodiversità, occupazione di circa il 50% delle terre emerse, sovrasfruttamento delle acque dolci e delle risorse ittiche, uso di azoto fertilizzante agricolo in quantità superiori a quello naturalmente fissato in tutti gli ecosistemi terrestri, immissione in atmosfera di ingenti quantità di gas serra ecc.) Fonte Treccani
Un film che saggiamente riflette sulla situazione ambientale più che denunciarla…
Il lungometraggio Antropocene appare sin dalle prime battute più riflessione artistica sul modo in cui l’uomo manipola il pianeta e la natura, che vero e proprio documento di denuncia, ed è secondo me in questo il suo principale punto di forza.
Che stiamo attraversando un momento estremamente critico per l’ambiente – crisi climatica in primis – è ormai un fatto assodato, che ogni giorno riscuote sempre più conferme autorevoli da scienziati e ricercatori di ogni paese.
Ma è altrettanto assodato il fatto che purtroppo a poco è servito l’encomiabile lavoro di denuncia che tante associazioni hanno portato avanti con amorevole rabbia negli ultimi 40 anni.
Evitando la trappola dello scontro diretto, che per motivi squisitamente psicologici raramente funziona davvero.
Come spiega infatti bene la Teoria della Comunicazione Umana sviluppata da Paul Watzlawick, quando due soggetti si mettono a discutere per difendere posizioni opposte, c’è il forte rischio della cosiddetta escalation simmetrica. In base a questo fenomeno disfunzionale, più si difendono le proprie posizioni, più stimolano la parte avversa ad arroccarsi sulle proprie posizioni. O – per dirla con Vadim Zeland – si alimenta solamente un Pendolo energetico.
Evitando l’escalation simmetrica e disattivando il Pendolo ambientale, Antropocene lascia che i fatti parlino da sé
Antropocene, al passo con i tempi, fa un’operazione diversa: mostra dei fatti, evitando giudizi di valore e critiche, lasciando che sia lo spettatore a trarre liberamente le sue proprie conclusioni osservando lo scempio multicolore del più pericoloso predatore del nostro pianeta.
E nel modo in cui lo fa risiede la vera bellezza del film, che ti incolla ipnoticamente allo schermo grazie a una fotografia di straordinaria forza evocativa, a una colonna sonora delicata e suggestiva, a una narrazione vocale minimalista e di grande eleganza.
Nella forma sta dunque il pregio principale dell’opera, che paradossalmente denuncia senza denunciare, provocando forse anche nelle persone meno attente a queste tematiche quel clic di cui oggi abbiamo tutti bisogno.
E lo fa soprattutto grazie a questa narrazione dolce, lenta, dal sapore quasi materno, che ricorda l’antica trasmissione orale con cui per millenni abbiamo trasmesso storie e leggende.
E lo fa con una forma evocativa, suggestiva e minimalista, dall’ipnotico sapore narrativo
Narrazione che stride spesso con la prorompente “umanità” che oscilla tra il grottesco e il fantascientifico.
Un esempio tra tutti, le mostruose scavatrici Bagger 293 da 14.200 tonnellate (come 5.000 elefanti africani!) che stanno sventrando Atterwasch, dove 4 città sono già state distrutte per ampliare la più grande miniera a cielo aperto della Germania.
Perché anche i contenuti – va detto – fanno la loro parte in Antropocene.
Le riprese effettuate in 6 continenti, 20 paesi e 43 luoghi passano con nonchalance dall’inquietante panorama urbano di Lagos, città nigeriana passata in pochi anni da 200.000 abitanti a quasi 20 milioni di anime, alla città più inquinata della russa, Berezniki, dove per estrarre il potassio necessario all’agricoltura intensiva sono state scavate 10.000 km di pericolose gallerie sotterranee.
Dai surreali laghi di evaporazione del litio, nel deserto cileno di Atacama, alla multicolore discarica di Dandora a Naoirobi, in Kenia, dove lavorano circa 250.000 persone e quasi 6.000 razzolano quotidianamente per pochi spiccioli.
Dalla cattività della tigre di Sumatra, oggi a rischio estinzione e “generosamente” accolta da Zoo come quelli di Londra, alla rinomata arte di scolpire le zanne di avorio, lusso che va ben oltre il concetto di superfluo, definito da una delle protagoniste del film una “evil commodity“.
E forse proprio sulle evil commodities, i lussi malvagi, distruttivi e superficiali di questo nostro mondo umano, viene spontaneo interrogarsi.
Ma anche i contenuti fanno la loro parte, con 43 storie critiche sparse in 6 continenti…
E non manca, per l’occhio esperto, una lezione che definirei esoterica, che si esprime circolarmente nei minuti iniziali e finali del film, dove – giusto per dare qualche indizio senza fare spoiler – una stessa realtà stimola punti di vista che che all’apparenza sono diametralmente opposti…
Un film da vedere, dunque.
Che è molto più di un film, collegato com’è anche ad una mostra multimediale organizzata dalla Fondazione MAST di Bologna.
E un film su cui riflettere.
Ma da cui partire immediatamente per fare qualcosa di nuovo e di diverso, per uscire dalla follia con la quale ci stiamo dirigendo verso il baratro.
Un film da vedere, su cui riflettere, e da cui partire per fare finalmente qualcosa di nuovo e diverso.
Perché se è vero che siamo entrati in una nuova era geologica, è pur vero che stiamo fronteggiando il rischio della sesta estinzione di massa. Ed è a dir poco difficile, soprattutto dopo certe rivelazioni, continuare a pensare che sia un caso.
Soprattutto se decidiamo di aprire gli occhi.
Anche per questo abbiamo particolarmente apprezzato la presenza durante l’evento di Matteo Branda di Friday For Future, Antonello Pasini del CNR, Ugo Poce di Extinction Rebellion, Andrea Pinchera di Greenpeace, Ferdinando Bonessio dei Verdi, e Rosalba Giugni di Marevivo, che tra dibattito pubblico finale e qualche chiacchiera volante in privato, hanno condiviso con noi il loro punto di vista privilegiato sulla delicata questione ambientale.
Chiudo ringraziando anche a nome di Viviana questi professionisti per il contributo che ci hanno offerto, senza dimenticare i 2 coraggiosi distributori italiani della pellicola, Fondazione Stensen e Valmyn, senza i quali questo film non sarebbe mai arrivato nelle sale italiane, dove verrà trasmesso a partire da Settembre.
Leonardo Di Paola
Ti piacerebbe anche...
Clicca qui per scaricare gli Omaggi I FEEL GOOD!
Clicca qui per dare un'occhiata a Ebook e Corsi I FEEL GOOD!
Clicca qui per la nostra Affiliazione solidale 100% Win Win!
Lascia un commento